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Per un’ecologia delle parole

Tolti i fatti, il resto è narrazione

Sui modi del narrare: cosa si può imparare dall’emergenza epidemica in materia di storytelling e perché è importante continuare a raccontare la nostra storia.

 

C’era una volta un microrganismo insidioso, che ebbe la pessima idea di fare il salto di specie, da un animale all’uomo. C’è chi dice che venga da un pipistrello, chi da un serpente, fatto sta che uno di questi animali abbastanza paurosi ha covato un virus tanto furbo da essere capace di trasformarsi ed attaccarci. Un processo definito “spillover” – termine con cui i microbiologi indicano il passaggio di un patogeno da una specie ospite all’altra. Un tipetto piccolissimo, tanto da infilarsi fin nelle parti più nascoste dei polmoni, appiccicoso e capace di fare grandi viaggi. Ha pure la corona, ma non è per niente nobile! E’ uno di quei virus con una struttura che, se vista al microscopio elettronico, presenta una corona dotata di piccoli uncini chiamati ricettori, cioè dei piccolissimi agganci con i quali il virus si attacca al suo target, alle cellule, per infettarle. Solo che all’inizio non credevamo che fosse così … “viruloso”! Come un influencer, capace di moltiplicare in modo virale i suoi follower, così questo virus da un primo focolaio ha generato un pastrocchio di pandemia, cioè una situazione in cui tutto il mondo viene colpito da una malattia più o meno contemporaneamente, ed ora è una star! Tutti ne parlano: è addirittura riuscito a far chiudere le scuole. Ed ora a noi hanno detto che possiamo salvare il mondo… dal divano di casa. A chiedercelo sono gli Eroi, quelli veri, quelli che stanno in prima linea. Come i Supereroi portano una maschera, ma sono medici ed infermieri.

Il Virus alla fine di tutto ne uscirà sconfitto, così le persone torneranno ad abbracciarsi ed i bambini a correre liberi nei prati. Intanto, vietando all’essere umano il suo vizio di inquinare, il mondo respira ed anche nei centri urbani sono tornati gli animali selvatici: lepri nei parchi, famiglie di tassi e cinghiali nelle strade deserte, delfini davanti ai porti e pesci nei canali. 

Siamo un solo Paese e se ognuno butta via un pochino di egoismo, ce la faremo. Forse da soli si va più veloci, ma insieme si va sicuramente più lontano. E se vuoi fare un dispetto al Virus, comunque, sorridi!

 

Al di là dei numeri drammatici del contagio, possiamo già prevedere che ci sarà un prima e un dopo, uno spartiacque epocale. Il Covid-19 ha drasticamente modificato anche la percezione della nostra realtà. Il mondo, visto dalla finestra di casa e dal monitor del Pc, ha un aspetto diverso. In tv quando due si abbracciano per fiction, ora appare la scritta: “registrato prima del Coronavirus”. Nei film, nei libri, come nella vita, personaggi e persone rivelano il loro vero carattere quando sono sotto pressione o privati di qualcosa d’importante, ma anche i desideri più profondi, come la speranza o la libertà. Ce ne stiamo accorgendo. Occorre fare della mente una bilancia che ponderi la realtà ed il senso delle cose; scandire il tempo vuoto con un pensiero significante.

Cambiano prospettive, comportamenti e riti ma anche la fruizione dei beni e della cultura. Dai musei che si raccontano in tour virtuali alle dirette in streaming di artisti o perfetti sconosciuti, alla scuola che continua a distanza: non smettiamo di essere noi stessi e di mostrare ciò che siamo e facciamo.

La progressione epidemica tende a polarizzarci agli estremi di opinioni e comportamenti, mentre si dovrebbe costruire una narrazione lucida ed equilibrata, una Storia complementare a quella grandiosa che ci raccontiamo sul destino della specie, soprattutto quando ne ipotizziamo l’estinzione: una narrazione fatta di piccole storie, di umanità colta nella sua dimensione emotiva e domestica.

Abbiamo la possibilità di testimoniare in parole ed immagini una quotidianità inedita, che verrà compresa pienamente solo con il tempo, ma ha bisogno di essere fotografata, ora, nel modo più imparziale possibile. Ognuno di noi può raccontare quello spicchio di vita osservabile nelle e dalle proprie case, un diario dell’emergenza che resterà nella Storia. Tutto ciò che si conosce e si salva, è ciò per cui troviamo delle parole.

Secondo una famosa definizione di Alessandro Baricco. “Togli via i fatti, quel che resta è storytelling”. Al netto dei fatti, che dovrebbero essere incontrovertibili, quel che crea empatia, capacità di riconoscersi, condivisione è storytelling. Nel nostro presente, una mescolanza equilibrata tra la diffusione delle notizie e la nostra ricezione delle stesse, a livelli diversi relativamente a fattori individuali e di gruppo.

Nel caso del Covid-19, la diffusione pandemica di notizie è stata definita “infodenia”. Con questo neologismo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha voluto sottolineare che un pericolo rilevante della società globale nell’era dei social media è la deformazione della realtà da parte della comunità globale su fatti reali o spesso manipolati. Tale deformazione può innescare, ai suoi estremi, un effetto domino di panico e ansia, oppure, al contrario, la minimizzazione o negazione del pericolo. Ogni alterazione delle informazioni genera altri fatti: dall’assalto ai supermercati alla non osservanza dei protocolli anti-contagio, sino alla fuga sconsiderata dalla zona rossa. Chi non capisce è più fragile e vulnerabile. Perché una comunicazione scorretta crea dissonanze e le dissonanze creano panico. Esattamente come i virus, le notizie si diffondono in modo rapidissimo e attraverso canali molteplici. Il ‘contagio informativo’, il rischio della diffusione virale di informazioni false, parziali o erronee si somma quindi a quello sanitario, poiché è in grado di causare il crollo dei rapporti nella società civile. Per sanare la situazione serve ora più che mai un nuovo storytelling. Ogni atto comunicativo, specie nelle situazioni emergenziali, ha un peso e nel suo piccolo, ciascuno di noi può contribuire ad una ecologia sostenibile delle parole e del pensiero.

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